Il recente sell-off di tutte le borse e tutti gli asset ha diverse cause occasionali che riguardano la geopolitica, il mercato dei derivati, la stagionalità, ecc. Tutte cose che hanno la vita breve di un titolo di media o di social.

Quando ci sono questi crash bisogna invece chiedersi se ci sono cause economiche reali da tenere presente, dal momento che nel medio-lungo termine, sono queste le sole che contano.

Il forte ribasso di questi giorni ha in effetti una causa economica importante, che deriva dalla recente decisione della Banca del Giappone di aumentare i tassi di interesse dello 0,25%.

Anche se l’aumento deciso da questa banca centrale può sembrare irrisorio, esso ha un grande impatto sui mercati globali, in particolare sulla comune strategia di carry trade sullo yen usata dai gestori dei fondi e dei grandi capitali.

Cosa vuol dire?

Il carry trade sullo yen è una strategia in cui gli investitori prendono in prestito yen a bassi tassi di interesse per investire in asset ad alto rendimento denominati in altre valute.

Dal momento che è molto usata, questa strategia è stata finora una fonte significativa di liquidità per i mercati globali, comprese le criptovalute.

Con l’improvviso rafforzamento dello yen, le posizioni aperte col carry trade hanno iniziato ad andare velocemente in perdita, costringendo molti traders a liquidarle, determinando un effetto a cascata su varie classi di asset.

Gli effetti a catena di questo cambiamento di politica giapponese sono stati drammatici. L’indice Nikkei 225 giapponese è crollato del 12,4%, segnando la sua peggiore sessione dal 2011. La turbolenza in una delle più grandi economie del mondo ha contribuito in modo significativo all’incertezza del mercato globale.

Le prime a subire forti ribassi in borsa sono state le banche, sia asiatiche che occidentali.

Infatti l’aumento dei tassi sullo yen ha provocato una conseguente riduzione di liquidità soprattutto nelle banche giapponesi, che detengono la maggior parte dei titoli di debito del loro paese.

In queste banche potrebbe quindi prodursi lo stesso effetto che abbiamo visto nel 2022 su alcune banche americane di medie dimensioni, quando i titoli di stato detenuti in bilancio hanno iniziato ad andare in perdita, esponendo quelle banche a potenziali crisi di liquidità in caso di eventuali “bank run” da parte dei loro clienti.

Il rischio di possibili crisi bancarie in Giappone simili a quelle americane del 2022 ha ovviamente contagiato le banche di tutto il resto del mondo, che detengono quantità variabili di titoli giapponesi.

La conseguente caduta in borsa dei titoli bancari ha fatto capire agli investitori che c’è un possibile rischio di liquidità e una debolezza del sistema finanziario globale, dovuto al fatto che ora tale sistema deve riposizionarsi cercando altre fonti di liquidità da sostituire con quella denominata in yen.

Anche se questa è senza dubbio una tipica causa economica reale e fondamentale della caduta di tutti gli asset, dobbiamo dire che non è un fattore di lungo termine.

Infatti la caduta del Giappone avviene in controtendenza rispetto alle economie occidentali che stavano già tornando a politiche di espansione della liquidità.

Anzi, è probabile che questo incidente non faccia che accelerare l’inversione di marcia del sistema occidentale da politiche di alti tassi verso politiche di bassi tassi.

Col senno di poi, non escludo che vi sia stato persino un accordo fra le banche centrali, in base al quale la banca centrale giapponese, che avrebbe dovuto già da tempo iniziare ad alzare i tassi, abbia ritardato questa decisione proprio per non appesantire, con lo shock di liquidità che ne sarebbe seguito, le già difficili conseguenze dei rialzi effettuati dalle banche occidentali tra il 2022 e il 2023.

Il fatto che lo “shock” proveniente dal Giappone sia stato ritardato in modo da avere luogo in questa fase successiva in cui tutto il sistema finanziario sta già recuperando liquidità, certamente ne limiterà gli effetti negativi e, come ho detto, forse spingerà alcuni paesi ad accelerare il passo dell’allentamento monetario creando nel medio termine una inversione della tendenza ribassista nei mercati.