Pochi hanno sentito parlare dell’Accordo sull’oro delle Banche Centrali (CBGA), chiamato anche Accordo sull’oro di Washington, che ha segnato una tappa interessante nella storia della manipolazione dei mercati dell’oro.
L’accordo fu firmato per la prima volta nel 1999 ed è stato rinnovato per un mandato di cinque anni nel 2004, 2009 e 2014. I firmatari includevano banche centrali di Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Belgio, più la Banca centrale europea, nonché alcune banche centrali non appartenenti all’area dell’euro, come quelle di Svizzera e Svezia. Gli Stati Uniti non sono mai stati membri dell’accordo, ma ne hanno supervisionato da vicino l’attuazione, assieme alla Banca dei regolamenti internazionali (BRI).
Durante il lungo mercato ribassista dell’oro del 1980-1999, le banche centrali, guardacaso, erano venditori attivi di oro. All’epoca non era ancora nato il mercato dei futures con cui oggi le banche centrali controllano con molta più efficacia (e in modo molto più anonimo) ogni accenno di trend rialzista nel mercato dei preziosi (ne abbiamo parlato nella prima parte di questo articolo).
Perciò in quel periodo l’unico modo per le banche centrali di creare una spinta ribassista per controbilanciare gli acquisti nel mercato libero di oro fisico era di effettuare a loro volta (attraverso banche compiacenti) elevati volumi di vendite di oro fisico.
Dal momento che vendite e acquisti di oro fisico fatti in ogni parte del mondo sono molto meno monitorabili rispetto all’attuale mercato dei futures, che opera su piattaforme elettroniche, c’era anche il rischio che le vendite potessero sfuggire al controllo, riducendo più del dovuto il valore delle riserve in dotazione delle banche centrali.
Per evitare una corsa incontrollata alle vendite, l’accordo CBGA fissava dei limiti alle vendite totali e alle vendite individuali dei paesi membri.
Dopo la stipula di questo accordo tuttavia, si registrò un fatto incredibile: le vendite di oro si erano già in gran parte esaurite al momento della conclusione dell’accordo.
Infatti, dopo il cosiddetto “Brown’s Bottom”, dal nome del cancelliere britannico dello Scacchiere Gordon Brown, che vendette circa la metà delle riserve auree del Regno Unito a un prezzo medio di $ 275 per oncia tra il 1999 e il 2002, ci furono poche vendite significative di oro da parte dei firmatari CBGA, ad eccezione di 1.000 tonnellate dalla Svizzera all’inizio degli anni 2000 e di 400 tonnellate vendute dall’FMI nel 2010.
Che motivo c’era di stipulare un accordo sulle vendite se nessuno dei firmatari aveva intenzione di fare altre vendite?
La spiegazione è semplice.
L’accordo era solo un modo per coprire l’oro precedentemente venduto o noleggiato nascondendo le transazioni avvenute.
Quando poi negli anni ’90 nacque l’innovativo strumento dei futures, le banche centrali presero il controllo definitivo e totale del mercato dei preziosi, rendendo obsoleto quell’accordo.
Ecco il motivo per cui questo accordo oggi è stato portato alla scadenza senza ulteriori rinnovi.
Il 26 luglio, la BCE, la Banca nazionale svizzera e la Riksbank svedese hanno emesso dei comunicati stampa coordinati, confermando che non vi sarà un quinto accordo in oro della banca centrale alla scadenza dell’accordo in vigore a settembre 2019.
Secondo il comunicato stampa della BCE, le banche firmatarie “concludono che un accordo formale sull’oro non è più necessario“perché “il mercato si è sviluppato e maturato“, ovvero, più precisamente, “dal 1999 il mercato globale dell’oro si è sviluppato considerevolmente in termini di scadenza, liquidità e base di investitori.”
Ma dato che, come abbiamo detto, la vera ragione per il CBGA dal 1999 in poi è stata quella di movimentare l’oro precedentemente venduto o noleggiato nascondendo le transazioni, questa motivazione per il non rinnovamento dell’accordo, così come la sua formulazione, è ingannevole.
I comunicati stampa della BCE – BNS – Riksbank, sulla stessa linea menzognera, assumono persino una involontaria connotazione ironica, quando affermano che: “l’accordo ha contribuito a creare condizioni più equilibrate nel mercato dell’oro fornendo trasparenza riguardo alle intenzioni dei firmatari”.
In realtà entrambi i comunicati sono importanti indizi del fatto che forse sta per iniziare una campagna di acquisti di oro da parte delle banche centrali.
Se ci fosse qualche dubbio in proposito, i comunicati stampa dei membri della CBGA proclamano apertamente la nuova tendenza per cui “le banche centrali e altre istituzioni ufficiali in generale sono diventate acquirenti netti di oro“e che “i firmatari confermano che l’oro rimane un elemento importante delle riserve monetarie globali, mentre continua per fornire vantaggi in termini di diversificazione delle attività.”
Dal canto suo, la BCE sembra concedere mano libera a questo nuovo trend, proclamando, sempre il 26 luglio, che la sua decisione di non rinnovare la CBGA “non pregiudica le competenze di ciascuna banca centrale nazionale in merito alla gestione delle proprie riserve auree”. In altre parole: fate quello che volete, perché la BCE non si intromette nella gestione delle riserve auree delle banche centrali nazionali.
Che dire allora?
La trasformazione di questo trend ventennale di vendite in una allegra fiera per gli acquisti da parte delle banche centrali potrebbe riflettersi positivamente sui prezzi dell’oro, lasciando finalmente mano libera ai rialzi?
Non ne sono ancora sicuro, per i seguenti motivi:
- Le banche centrali hanno ancora ben salde le redini sui mercati dei futures, che permettono un controllo dei prezzi efficiente, anonimo e totale, superando di gran lunga i volumi di tutte le possibili transazioni di oro fisico fatte da banche centrali, banche nazionali e fondi di investimento messi insieme.
- Le banche centrali di Cina, Russia, Turchia e altri importanti paesi non occidentali sono da sempre acquirenti netti di oro (in quantità gigantesche), ma questo fatto non ha mai intaccato la tendenza ribassista dei preziosi. Non vedo perché gli acquisti da parte delle banche centrali occidentali dovrebbero influire diversamente sul prezzo dell’oro.
Perciò, tutto quanto considerato, e in attesa di vedere i primi effetti del nuovo corso delle banche centrali occidentali e l’uso che verrà fatto del mercato dei futures, la mia nuova (provvisoria) posizione nei confronti dell’eterno dibattito sul trend dell’oro è la seguente:
Anche se le banche centrali occidentali fossero diventate acquirenti netti di oro (e quindi venisse data mano libera agli acquisti anche ai fondi di investimento), il controllo sulle quotazioni non sarebbe meno necessario; anzi, lo sarebbe di più.
Se prima l’oro era solo un fastidioso concorrente per le politiche monetarie dissennate delle banche centrali (un concorrente da tenere a bada sul mercato dei futures), oggi il metallo giallo potrebbe diventare un asset nelle mani delle stesse banche centrali. E in tal caso, pensi forse che le banche centrali non avranno ancora più necessità di determinare a loro piacimento il valore di questo asset, facendolo scendere per acquistarlo a buon mercato, e salire per utilizzarlo come arma finanziaria o come scudo protettivo valutario?
Morale della favola, prima di annunciare un nuovo trend a rialzo di lungo termine, aspettiamo di vedere se e come le banche centrali riprenderanno il controllo delle quotazioni dell’oro e con quali nuove finalità e prospettive tratteranno il loro vecchio nemico, ora ridiventato alleato (purché non cacci la testa fuori dal sacco).
Pur restando ancora ben lontani da qualsiasi investimento nel mercato dei preziosi, Segnali di Borsa monitorerà con molta attenzione questi importanti sviluppi, che potrebbero cambiare il volto dell’economia dei prossimi anni.
Il team di Segnali di Borsa