Chi ha deciso di investire a medio o lungo termine deve turarsi il naso e aspettare che passi il periodo che va da ottobre a dicembre, con le elezioni americane e il probabile rialzo dei tassi a breve termine della Federal Reserve nel mezzo.
Finché questi due eventi non avranno manifestato tutti i loro effetti ed esaurito tutta l’ansia che paralizza i mercati, è inutile fare qualsiasi cosa. Si deve solo aspettare.
Approfittiamo dunque della pausa e cerchiamo di capire cosa bolle in pentola e soprattutto quali sono quei trend che stanno in agguato in questa apparente stagnazione, pronti a scatenarsi non appena le circostanze lo permetteranno.
Il modo migliore per avere un quadro chiaro della situazione è rileggersi un articolo che avevo scritto giusto il 1 ottobre, data in cui era avvenuto un evento cruciale per la storia economica mondiale.
Mi limito qui a riprendere lo schema proposto allora, che definiva le due forze economiche attualmente rivali: la Federal Reserve (cioè la banca centrale americana, Fed) e il Fondo Monetario Internazionale (FMI).
Curiosamente, sia l’FMI che la Fed hanno l’obiettivo di innescare una tendenza inflattiva, cioè un aumento di liquidità dei mercati che faccia alzare i prezzi alla produzione, risanando le prospettive di crescita per l’economia reale.
La differenza sta nel modo in cui vogliono realizzare tale obiettivo.
La Fed vuole aumentare la liquidità del dollaro, cioè vuole aumentare la disponibilità di questa valuta e il suo prestigio come moneta di scambio globale.
L’FMI invece ha capito che il dollaro in mano alla Fed sta diventando un ostacolo all’inflazione e vorrebbe sostituirlo con la sua valuta, l’SDR.
Il 31 agosto, l’FMI aveva fatto la sua mossa iniziando a emettere bond (obbligazioni) denominate in SDR.
Ora tocca alla Fed fare la sua contromossa, in direzione completamente opposta, alzando probabilmente il tasso d’interesse a breve termine a dicembre per rafforzare il valore del dollaro come valuta di scambio globale.
Questa mossa, prima ancora di venire attuata, ha già fatto aumentare il valore del dollaro contro le altre valute.
La Fed pensa che un dollaro forte conferisca valore e affidabilità a questa valuta negli scambi internazionali.
Ma la verità è che dollaro forte vuol dire solo distruzione dei mercati delle materie prime e quindi anche di quei Paesi che da esse dipendono.
E più i Paesi vengono colpiti dal dollaro forte, più si sbarazzano delle loro riserve obbligazionarie in dollari, diminuendo, invece che aumentando la liquidità e disponibilità dei dollari a livello globale (quindi producendo l’effetto opposto a quello desiderato).
Per non parlare della rete di scambi dollar-free che stanno attuando Russia, Cina e Turchia con tutti i loro partner commerciali…
La crisi di fiducia nei confronti del dollaro è un fenomeno storico inevitabile, perché ha molte facce (è una rivalsa politica per tanti Paesi non occidentali, è una necessità di sopravvivenza economica per il commercio mondiale, è una rete di alleanze sottotraccia fra ex alleati della Nato, e molto, molto altro…).
Non è qualcosa che possa essere fermata solo con un piccolo innalzamento dei tassi a breve termine…
Ma questo la Fed non lo ammetterà mai…
Intanto, il 13 ottobre si è aggiunto un altro tassello alla strategia a lungo termine del concorrente della Fed, l’FMI.
La Standard Chartered Bank di Hong Kong ha infatti ottenuto l’approvazione della banca centrale cinese di emettere altre obbligazioni in SDR per un valore pari a 139 milioni di dollari?
Come avevo scritto nell’articolo del 1 ottobre, la strategia del FMI è graduale, globale e coinvolge in primis i Cinesi e lo yuan.
Invece di combattere la tendenza dei Paesi non occidentali a creare una rete alternativa al dollaro negli scambi commerciali, l’FMI la sfrutta a suo vantaggio (l’obiettivo è sempre l’inflazione), o quanto meno tenta di governarla.
Volendo perciò riassumere in forma molto schematica la situazione in cui ci troviamo da qui a fine dicembre, vediamo che:
- Da una parte, c’è la strategia graduale del FMI, che però ancora non è in grado di influenzare direttamente i mercati finanziari.
- Dall’altra, c’è la mossa disperata della Fed sul rialzo dei tassi, che al contrario sta influenzando, eccome, i mercati finanziari.
Cosa significa tutto questo per chi cerca dei trend su cui investire a medio e lungo termine?
Basta ricordare l’ultima volta che la Fed ha alzato i tassi d’interesse, cioè a dicembre 2015. In quella occasione ci fu un forte ribasso della borsa americana e anche di tutti gli altri asset, compreso l’oro.
Paradossalmente però questi ribassi, anche molto forti, furono l’innesco delle stagioni rialziste del 2016, sia della borsa americana che dell’oro, che ancora oggi sono in vigore, anche se momentaneamente in stallo per l’ansia delle elezioni e del probabile rialzo dei tassi di dicembre.
Quindi, attenzione a non fermarsi agli effetti di breve durata della politica dalle gambe corte della Fed.
Come dicevo all’inizio dell’articolo, dobbiamo considerare il periodo da ora fino a dicembre come una pausa di riflessione.
E in questa pausa di riflessione, è vitale non fermarsi a come le cose appaiono oggi, ma analizzare quello che sta maturando sotto traccia.
Oggi l’aumento del dollaro, diversamente da allora, è partito in modo anticipato rispetto alla mossa della Fed.
Bisogna fare molta attenzione a come alcune materie prime si stanno comportando di fronte a tale aumento.
Come si sa, dal momento che le materie prime (commodities) sono scambiate in dollari, il loro valore è inversamente proporzionale a quello del dollaro. Se il dollaro sale, le commodities scendono e viceversa.
Allo stesso tempo però le materie prime oggi sono reduci da un ribasso considerato ormai quasi “eterno”, visto che prosegue ininterrotto dal lontano 2011.
E questo cambia un pò le carte in tavola…
Come ormai molti nostri lettori sono abituati a notare, sono proprio situazioni come queste ad attirare la nostra attenzione, dal momento che la forza di un ribasso così prolungato è uno dei motori più potenti per i successivi rialzi.
Per questo motivo, noi di Segnali di Borsa stiamo analizzando proprio il settore delle commodities: petrolio, argento, rame, anche grano e mais tutti decimati di almeno il 50% dal 2011. Tutti potenziali candidati per forti rialzi a medio termine!
Se questo non bastasse, c’è anche il fatto che nel 2016 alcune commodities hanno iniziato a muoversi in modo indipendente dal dollaro, segnalando ancora di più una probabile fine del trend ribassista.
Il petrolio ad esempio ha raddoppiato rispetto ai minimi di febbraio e alcune piccole compagnie petrolifere superstiti alla mattanza dei debiti hanno visto un aumento delle quotazioni anche del 70%.
L’oro e l’argento hanno avuto un rapido aumento a luglio, in corrispondenza della Brexit, ma a dispetto di tutte le ipotesi degli analisti, non sono tornati ai ribassi iniziali, ma si sono stabilizzati (con i normali ritracciamenti verso il basso) in un trend laterale-rialzista che ha resistito persino ai fortissimi aumenti del dollaro di queste settimane.
Un altro settore in crescita già da alcuni mesi è il carbone:
Come si vede nel grafico, il 2016 è l’anno della ripresa anche per questa materia prima, che tutti davano ormai per spacciata, anche per motivi di legislazione ambientale e di tentativi di riconversione ad altre fonti energetiche da parte di alcuni Paesi.
Tutti questi segnali sono molto significativi e vanno seguiti fino al termine della “pausa di riflessione”, quando superate le elezioni USA e il rialzo dei tassi della Fed, le cose riprenderanno a girare.
Le materie prime sono attualmente spinte da due tipi di forze:
- a lungo termine, la perdita di forza del dollaro, le politiche anti-dollaro internazionali e il tentativo del FMI di governarle, la prospettiva di una svalutazione anche molto forte del dollaro (a dispetto dei tentativi della Fed), i possibili eventi traumatici legati alle elezioni, alle guerre in corso, alla situazione europea, hanno già fermato la corsa a ribasso delle materie prime e sembrano produrre forti movimenti in direzione opposta che sembrano anticipare il trend a rialzo futuro.
- a breve termine, la momentanea risalita del dollaro, il rialzo (effimero) dei tassi d’interesse creati dalla Fed, potrebbero creare temporanei ribassi in tutti i settori, compreso quello delle commodities. Ma sarebbe un errore prendere questi ribassi come qualcosa di permanente e duraturo…
Certo, siamo ancora in una situazione instabile, perché tutte le forze in questione agiscono con velocità e tempi molto diversi.
Ecco perché sulle materie prime non vedo ancora una possibilità per investire a lungo termine.
Però abbiamo anche visto che in questa incertezza c’è una certezza: il quinquennale ribasso delle commodities (ribassi continui e ininterrotti dal 2011 al 2015), che è come una molla schiacciata all’estremo e pronta a scattare.
Ed è questa certezza a rendere le materie prime le perfette candidate per dei trade a medio termine.
Sfruttando i probabili ribassi temporanei successivi alle elezioni USA e alla mossa della Fed, potremmo avere degli ottimi punti di ingresso in titoli azionari o in etf legati alle commodities pronti a macinare forti rialzi di medio termine.
Attualmente credo che questa sia la strategia più interessante da qui a fine anno.
Per questo, noi di Segnali di Borsa abbiamo messo 5 materie prime sotto osservazione, dal momento che potrebbero creare ottime possibilità per dei trade a medio termine.
Tutti i fatti che ti ho appena descritto andranno seguiti nella loro evoluzione, per capire dove ci porteranno e quali saranno le prospettive dei prossimi mesi.
Solo tenendo conto di tutti i complessi fattori in gioco, potremo portare avanti questi trade di breve termine nelle commodities.
Siamo in uno dei momenti più delicati e difficili della storia economica mondiale, perciò ti consiglio vivamente di non investire da solo.
Se non lo hai fatto, iscriviti alla newsletter gratuita di Segnali di Borsa per ricevere via email i prossimi aggiornamenti sulle commodities che abbiamo sott’occhio.
Saprai come e quando investire molto prima degli altri!
Alla tua prosperità!
Il team di Segnali di Borsa