Chi ci segue da tempo sa che abbiamo sempre fornito informazioni corrette sull’inflazione americana, segnalando con molto anticipo il suo raffreddamento, mentre i media ancora erano convinti che i prezzi sarebbero saliti in eterno.
Questa informazione è cruciale per chi investe, dal momento che anticipare un trend rialzista in borsa dovuto alla riduzione dell’inflazione permette di posizionarsi prima degli altri per ottenere i rendimenti che ne derivano.
Ora perciò è arrivato il momento di segnalare nuovi trend dell’inflazione che potrebbero impattare sul mercato USA e che ancora non sono nei radar dei media.
Secondo gli ultimi dati di ottobre pubblicati pochi giorni fa, su base annua l’indice dei prezzi al consumo USA è aumentato del 2,6%, mentre l’inflazione core (cioè esclusi gli alimenti e l’energia) è salita del 3,3%. Su base mensile, poi, l’indice dei prezzi al consumo è aumentato dello 0,2%, mentre l’inflazione core è aumentata dello 0,3%.
Nella maggior parte delle categorie principali di cui si compone il paniere di beni su cui viene calcolata, l’inflazione sta diminuendo o è al di sotto del tasso medio di lungo termine.
Ad esempio, il tasso di inflazione nei prodotti alimentari è sceso dal 2,3% al 2,1% a ottobre, quindi al di sotto della sua media a lungo termine del 2,2%. L’inflazione dei prodotti energetici ha rallentato del -4,9% a ottobre, ben al di sotto del suo tasso medio a lungo termine del 3,4%.
Per tutte le altre materie prime, l’inflazione ha registrato un -1,0%, un risultato anche questo molto al di sotto del tasso medio a lungo termine dello 0,2%. Infine, l’inflazione dei servizi di assistenza medica sta ora correndo proprio intorno al suo tasso medio di lungo termine.
Tutto sommato quindi, escludendo gli affitti, l’inflazione generale (non quella core) è all’1,3% in questo momento; un livello quindi assolutamente nella norma.
Come abbiamo appena accennato, il tasso dei prezzi degli affitti e dei materiali e servizi legati agli immobili al contrario, resta molto alto, ossia al 4,9%, quindi ben al di sopra del tasso medio a lungo termine.
E’ vero che per diversi mesi consecutivi questo tasso era sceso, quindi un aumento del genere è ancora fisiologico. Tuttavia non possiamo ignorare il fatto che l’inflazione relativa agli alloggi è aumentata da un mese all’altro.
Stessa cosa dicasi per l’inflazione dei prezzi delle auto usate, che ha molto impatto sull’inflazione core.
I prezzi dei veicoli usati sono aumentati per il secondo mese consecutivo, dopo un crollo storico negli anni precedenti che aveva contribuito al raffreddamento dell’inflazione core.
In entrambi i casi però, bisogna dire che l’aumento dei prezzi di questi beni non ha nulla a che fare con le politiche monetarie della Federal Reserve, ma sono dovuti a dinamiche di domanda e offerta di quei mercati.
L’inflazione degli affitti ad esempio, dipende dalla cronica scarsità di alloggi che affligge il mercato USA da molti anni.
Nessuna politica monetaria può cambiare questa situazione del mercato immobiliare USA che si trascina dal 2008. Tant’è vero che anche nel corso del 2022 e del 2023, dopo uno dei cicli di aumento dei tassi più rapidi e aggressivi di sempre, questa inflazione è rimasta del tutto invariata.
Riguardo ai prezzi legati ai veicoli usati, anche qui c’è una contrazione dell’offerta che sta impattando il mercato.
Secondo i dati pubblicati oggi da Cox Automotive, all’inizio di ottobre le scorte al dettaglio di veicoli usati sono scese a 2,15 milioni di unità, ben al di sotto del range del 2019 compreso tra 2,8 e 3,0 milioni di veicoli e circa il 27% in meno rispetto a settembre 2019.
A cosa è dovuta questa riduzione della disponibilità di auto usate? Alla riduzione della produzione di auto nuove, dovute sia alla crisi delle auto elettriche, che non vuole piu’ nessuno, sia alla scarsità di semiconduttori, dovuta a sua volta alle guerre commerciali con la Cina.
L’offerta di veicoli usati vecchi di 2-3 anni, che è la componente maggiore del mercato, proviene in gran parte da flotte di noleggio che ritirano le unità dal servizio alla scadenza dei contratti di leasing. Questa filiera di fornitura quindi dipende direttamente dalla produzione di auto nuove.
Perciò, visto che dal secondo trimestre del 2021 al primo trimestre del 2023, le case automobilistiche hanno venduto 6 milioni di veicoli nuovi in meno rispetto allo stesso periodo prima della pandemia, queste 6 milioni di unità non sono entrate nella filiera dei veicoli usati e ne hanno causato l’aumento dei prezzi.
Anche in questo caso, l’inflazione è dovuta alla dinamica tra domanda e offerta.
Le poche componenti che nel mese di ottobre hanno causato l’aumento del tasso d’inflazione quindi sono poco influenzate da ciò che fa la Federal Reserve.
A meno che Powell non sia in grado di convincere la Casa Bianca a ritirarsi dalla guerra commerciale con la Cina, o non abbia il potere di costruire milioni di nuovi alloggi per il mese prossimo, c’è poco che la Fed possa fare…
Sarebbe quindi sconsiderato, da parte della Fed, rischiare una recessione interrompendo il programma di taglio dei tassi appena iniziato, solo per tentare di abbassare delle componenti dell’inflazione fuori dalla portata delle sue politiche monetarie.
Escludendo l’edilizia abitativa e le auto usate, l’inflazione è tornata alla normalità. Non ci sono dubbi su questo. Perciò la Fed dovrebbe continuare a tagliare i tassi di interesse, come previsto.
Infatti, prima che venissero pubblicati i dati sull’inflazione di ottobre che abbiamo appena discusso, le probabilità di un taglio dei tassi a dicembre erano solo del 60%. Ora invece sono balzate a oltre l’80%; il che dimostra che il mercato sta ancora ipotizzando altri tre tagli dei tassi, nonostante quelle due componenti di inflazione “resistente” che abbiamo detto.
Fin qui abbiamo dato le buone notizie.
Ora passiamo al motivo per cui ho scritto l’articolo.
Anche se l’inflazione attualmente è sotto controllo, questa situazione potrebbe non rimanere così per sempre.
Delle sei categorie di beni più influenti sull’inflazione (cibo, energia, materie prime, alloggi, servizi di trasporto e servizi di assistenza medica), quattro hanno attualmente prezzi a livelli “normali” o al di sotto di tale livello. Tuttavia solo due di queste categorie hanno ancora un tasso di inflazione in calo (vuol dire che i loro prezzi sono bassi e tendono a diminuire). Per le materie prime, per l’energia, gli affitti e i servizi di assistenza medica, invece, il tasso è in aumento (cioè, anche se i loro prezzi sono ancora bassi, tendono ad aumentare gradualmente).
Nel complesso, il tasso di inflazione complessivo degli Stati Uniti (cioè la tendenza ad aumentare o diminuire dei prezzi) è aumentato dal 2,4% al 2,6% a ottobre. E le attuali stime della Fed di Cleveland suggeriscono che salirà di nuovo al 2,7% a novembre.
Risultato: l’inflazione non sta più calando. È, nella migliore delle ipotesi, in stallo, ma si potrebbe persino dire che potrebbe aumentare in futuro.
Tutto questo, alla vigilia dei possibili cambiamenti economici che Trump potrebbe decidere di varare nel 2025 e nel 2026, tra cui tagli fiscali, deregolamentazione, tariffe e possibili deportazioni di massa, che, messi insieme, potrebbero anch’essi creare un ritorno dell’inflazione.
Bisogna ricordare infatti che, durante il primo mandato presidenziale di Donald Trump, l’inflazione sali’ dall’1,6% a metà del 2017 a quasi il 3% entro la fine del 2018.
Quindi, se la tendenza all’aumento dei prezzi si dimostrasse nel futuro prossimo solo un ritorno temporaneo e fisiologico dopo mesi di cali, le (eventuali) politiche di Trump rischierebbero di rendere questo aumento non piu’ temporaneo, ma stabile nel lungo termine.
Quindi, anche se l’inflazione non è un problema in questo momento, soprattutto agli occhi della Fed, potrebbe diventarlo di nuovo in un momento imprecisato della presidenza di Trump.
Certo, si tratta di un problema ancora di là da venire, ma è bene essere consapevoli che potrebbe presentarsi un giorno…
Attualmente il mercato azionario e quello delle cripto sono ormai pronti a salire fino ai livelli estremi di euforia e di bolla speculativa a cui sono destinati.
Questi rischi di reinflazione non faranno deragliare il mercato oggi, domani o il mese prossimo. Ma potrebbero farlo in un vicino futuro.
Un futuro quanto vicino?
Non possiamo saperlo ora, perché non c’è modo di prevedere i dati economici futuri e le eventuali decisioni di Trump.
Ma è sempre possibile fare delle previsioni con largo anticipo, man mano che la situazione si evolverà, perché i dati che vengono pubblicati un mese dopo l’altro mostrano sempre il futuro, anche se i media ufficiali tentano di nasconderlo…
Ecco perché è cruciale seguire la nostra newsletter e il nostro canale Telegram, in modo da capire in anticipo quando ciò potrebbe succedere e quali saranno le contromisure da prendere.
Per il momento, posso dire che l’andamento di questa reinflazione, che ancora non preoccupa i media ormai lanciati nel sostegno alla speculazione dei grandi fondi e delle banche sui mercati cripto e azionari, mi sembra avere dei tempi che sono coerenti con il trend dei cicli rialzisti che abbiamo sempre detto: ossia un grande botto a fine 2024 e nella prima metà del 2025.
Per i trimestri successivi del 2025 dobbiamo vedere come saranno i dati economici. Di sicuro, dovremo aver venduto tutte le nostre azioni e le nostre cripto per il 2026 – questo lo abbiamo sempre detto -, ma adesso la parte piu’ impegnativa sarà guidare i nostri investimenti nel 2025. Ed è su questo che le nostre analisi cercheranno di fornire i giusti segnali con il consueto largo anticipo…