La guerra in Ucraina porterà un cambiamento drastico alle prospettive di inflazione.
Il modo in cui oggi pensiamo di affrontare l’inflazione con piu’ o meno drastici tagli alla liquidità operati dalle banche centrali, sta per diventare obsoleto.
Come mai?
Il fatto è che fin dagli anni ’70 il mondo finanziario ha capito che l’inflazione generata da shock energetici esterni al sistema economico è impossibile da controllare con le normali misure monetarie delle banche centrali.
Dopo lo storico embargo del petrolio che l’OPEC opero’ nel 1970, l’inflazione inizio’ a scendere sotto il 5% solo 10 anni dopo, nel 1981.
Nessuna manovra monetaria riusci’ a cambiare questa onda lunga inflattiva e non vi riuscirebbe nemmeno oggi.
Anche oggi dunque l’inflazione, passata da fenomeno residuale dovuto alla pandemia a condizione fondamentale creata da fattori non economici, inizierà ad uscire sempre piu’ fuori dalla “giurisdizione” della banca centrale americana.
Del resto, il mandato della Fed è quello di stabilizzare il dollaro, favorire la crescita economica e l’occupazione, NON di modificare i trend delle materie prime.
Questo vuol dire che, una volta che la Fed avrà ridimensionato, come promesso, la liquidità in eccesso creata durante la pandemia, NON prolungherà il “tightening” con l’idea di tentare un impossibile calmiere agli aumenti dei prezzi delle materie prime e del petrolio innescati dalla guerra.
Al contrario, questa guerra potrebbe persino rivelarsi il pretesto che la Fed cercava per operare un rialzo dei tassi molto piu’ blando del previsto.
In questo articolo avevamo spiegato come anche un lieve aumento dei tassi fosse un macigno per il budget dello stato.
Per questo abbiamo sempre ipotizzato che alla prova dei fatti la banca centrale avrebbe deluso le aspettative dei media su cinque, sei, sette …infiniti rialzi dei tassi per il 2022.
Lo scoppio di questa guerra potrebbe essere la premessia giusta per questo scenario non previsto dai media, in quanto:
- l’inflazione diventerebbe ufficialmente un fenomeno fuori dalla portata della Fed, scaricando quest’ultima dalle sue responsabilità.
- Una eventuale recessione provocata dalla guerra, darebbe il pretesto alla Fed per rinunciare al “tightening” o per ridurlo al minimo.
- Ma anche una crescita economica spingerebbe la Fed a non portare il tightening” oltre i livelli di guardia per raggiungere un traguardo (l’abbattimento dell’inflazione) che la guerra ha reso impossibile.
Quale prospettive vi sarebbbero per i mercati se ci aspetta un decennio di inflazione?
Se la pademia non avesse già ridotto al minimo la capacità di reazione delle economie globali, ci saremmo dovuti aspettare una reazione positiva dovuta alla prevedibile crescita economica che sempre segue alle guerre.
In passato, l’inflazione veniva resa accettabile provocando fenomeni di ripresa economica che rendevano possibile attribuire maggior valore a degli asset rifugio.
Per dirla praticamente: negli anni ’80 c’era, è vero, quell’inflazione galoppante, ma il sistema economico poteva permettersi di attribuire tassi d’interesse enormemente alti al settore obbligazionario (i meno giovani fra i lettori ricorderanno i favolosi interessi delle obbligazioni di quel tempo).
Oggi invece, con la globalizzazione ridotta ai minimi termini e la crisi delle capacità delle banche centrali di provocare riprese economiche, per quanto solo nominali, potremmo ritrovarci in un decennio di inflazione abbinato a una scarsa capacità di creazione di valore negli asset rifugio tradizionali.
In ben due articoli alla nostra newsletter gratuita abbiamo spiegato come il mercato obbligazionario è pronto per una stagione di discesa dei tassi, non di una risalita. Quindi al massimo è possibile utilizzare questi asset per sfruttarne l’aumento di prezzo a lungo termine, non per ottenere delle “rendite” garantite come si faceva negli anni ’80.
Oggi gli investitori sono “condannati” a contare sul “rischio”, non sulla “rendita”.
Ecco quindi che le obbligazioni diventano del tutto simili alle cripto e ai titoli azionari ad alta crescita, nel senso che si investe su questi asset sperando che riescano a creare valore piu’ velocemente dell’inflazione, non perché ti diano delle “rendite garantite”…
Ma anche nel cercare valore sulla crescita di certi settori, i rischi sono tanti.
Se ad esempio la Cina volesse imitare la Russia invadendo Taiwan, raggiungerebbe il duplice scopo di porre fine a un contenzioso geopolitico secolare e distruggere per almeno una decade le capacità produttive dell’high tech dei paesi occidentali (Taiwan, come si sa, è la patria dei microchip e ci vogliono almeno dieci anni per ricostruire la produzione di questi componenti in occidente).
Le economie di oriente e occidente sono sempre meno interconnesse; e questo rende sempre meno rischioso per i paesi orientali fare mosse unilaterali che tre anni fa sarebbero state ritenute autolesioniste, ma che oggi sono solo un altro colpo a una situazione già irrimediabilmente compromessa.
Non voglio percio’ indorare la pillola: siamo a una svolta storica imprevedibile, dove tutto puo’ succedere.
Ci vorrà tempo per iniziare a individuare dei trend ben definiti su cui investire.