L’anno 2020 ha segnato una pietra miliare nella storia del deficit commerciale americano.
Mentre il resto del mondo, con la crisi del covid, ha tagliato gli acquisti di beni provenienti dagli USA, gli Americani, rifocillati dagli aiuti governativi a fondo perduto, hanno aumentato gli acquisti di beni di importazione.
Questo sbilancio tra import ed export ha portato il deficit commerciale USA alla cifra record di 916 miliardi:
Il deficit commerciale USA non esiste da oggi.
La politica trentennale di delocalizzazione e globalizzazione delle multinazionali USA ha costruito le basi che hanno permesso agli altri paesi di incrementare le esportazioni a scapito del bilancio commerciale americano, costringendo gli USA a difendere il dominio del dollaro come valuta globale, sia con la forza delle armi che con le politiche monetarie accomodanti.
La crisi del covid ha solo amplificato l’estensione del deficit commerciale e dei suoi effetti.
L’impressionante massa di liquidità creata dagli aiuti e dalle politiche monetarie americane legate al covid ha infatti portato la situazione ai livelli mostrati nel seguente grafico:
Come si vede, la massa monetaria M2 in dollari stampata dalla Federal Reserve (linea rossa) è una montagna, rispetto alla massa monetaria stampata dalla banca centrale cinese (linea verde).
Nell’economia reale, questa disparità sta provocando in oriente un dinamismo economico e sociale paragonabile a quello che esisteva da noi negli anni ’50, mentre in occidente porta ineguaglianze economiche e riduzione dell’”opportunity gap” (la possibilità di scalare da una classe inferiore a una superiore).
L’occidente si sta avvitando cosi’ in una spirale in cui il deficit commerciale, incrementando la disparità sociale e l’immobilismo economico, costringe all’adozione di politiche di redistribuzione della ricchezza che hanno effetti inflazionistici.
In sostanza: piu’ dollari, meno ricchezza, piu’ assistenzialismo, piu’ inflazione, piu’ dollari…e cosi’ via…
La situazione inizia a preoccupare persino un keynesiano come Lawrence Summers, segretario del Tesoro nella Presidenza Clinton e consigliere economico di Obama, che di recente ha criticato il nuovo piano di aiuti da 1,9 trilioni previsto da Biden, provocando le ire della Casa Bianca.
La capacità di ottenere alti rendimenti nelle borse o investendo in asset anti-inflazione, come i preziosi e le criptovalute, è diventata una forma compensatoria di questa situazione.
Gli asset anti-inflazione stanno assumendo un ruolo economico sempre piu’ ampio che in America assume risvolti socio-economici.
Una parte considerevole del settore finanziario e produttivo, ma anche ampie fasce di millennials che si affacciano sul mondo del lavoro e iniziano ad avere un reddito e dei risparmi, si proteggono in modo piu’ o meno consapevole contro il dollaro usando gli asset anti-inflazione.
Per la classe politica e per gli organismi di controllo, si apre quindi un dilemma:
Gli asset anti-inflazione vanno combattuti o incoraggiati?
Da una parte, l’uso di tali asset limita gli effetti negativi delle loro stesse politiche monetarie. Altri antidoti studiati a tavolino non sarebbero cosi’ efficaci e a buon mercato; quindi scoraggiare l’uso dei preziosi e delle cripto in modo drastico non è piu’ consigliabile come in passato.
Dall’altra, a lungo andare una “scommessa” in massa contro il dollaro potrebbe un giorno raggiungere un livello oltre il quale si avrebbe lo stesso effetto della scommessa di Soros contro la sterlina.
Nella celebre operazione tanto cara ai complottisti, Soros non fece altro che usare tassi d’interesse favorevoli per ottenere sterline in prestito con cui compro’ marchi.
Alla lunga, la valuta piu’ stabile (il marco) batté la valuta soggetta ad inflazione (la sterlina).
Allo stesso modo, la società civile americana, aprendo in massa posizioni in criptovalute (il “marco” di oggi) e vendendo dollari (la “sterlina” di oggi), potrebbe senza volerlo creare una situazione analoga.
Attualmente, la liquidità impiegata dalle istituzioni (fondi di investimento, multinazionali, banche) per comprare bitcoin è ancora trascurabile (ad esempio, le posizioni in bitcoin aperte da Tesla, per quanto ci sembrino un’enormità, ammontano solo allo 0,2% delle riserve di liquidità di quest’azienda).
Ma se un giorno si dovesse anche solo intravedere la possibilità di un esito letale per il dollaro, vedremo gli organi di controllo e il Congresso USA di nuovo alla carica contro le cripto e i preziosi.
Godiamoci quindi i pochi anni che ci separano da questa nuova, possibile crisi…