Premessa: anche i bear market del passato hanno avuto delle cause sconosciute alle masse
La crisi del 2007-2009 viene solitamente interpretata come una crisi dei derivati innescata dal crollo del mercato immobiliare.
Tuttavia i prezzi delle abitazioni erano già scesi nel 2006 e in realtà nel 2007 stavano ricominciando a salire.
La tempistica del crollo delle borse di allora punta invece il dito su un’altra causa poco nota.
Il crollo delle borse duro’ infatti da novembre 2007 a marzo 2009, proprio in coincidenza con l’approvazione, da parte del Financial Accounting Standards Board, di una regola contabile poco conosciuta, chiamata FASB 157.
La norma costringeva le banche a sostituire il valore degli immobili a copertura dei derivati, basati su vecchi criteri, con il valore reale di mercato degli stessi immobili.
Il vecchio valore definito dalle banche attraverso una complessa alchimia sui derivati legati agli immobili era molto superiore al controvalore degli immobili reali messi sul mercato.
La nuova norma minacciava quindi di ridurre drasticamente la manipolazione a rialzo che le banche avevano fatto fino a quel momento sul prezzo degli immobili a copertura dei derivati detenuti nei loro bilanci.
Ora, attenzione alle date:
FASB 157 fu approvata nel 2006, ma la sua applicazione inizio’ a novembre 2007 (proprio allo scoppio del crollo di borsa) e venne sospesa a marzo 2009, esattamente il mese in cui i mercati ricominciarono a salire…
Questa storia poco conosciuta ci fa capire che a volte le cause piu’ profonde di un bear market o un crollo dei mercati non sono quelle pubblicate sui media.
Ho fatto questa premessa, perché anche questo bear market ha una causa profonda quasi sconosciuta ai media.
Torniamo al presente: qual è la causa profonda e poco nota del bear market attuale?
Tutti possiamo immaginare che i volumi cosi’ ingenti di vendite che hanno messo al tappeto le quotazioni di quasi tutti gli asset di borsa non sono state fatte certo dal trader del piano di sopra.
Le vendite che davvero contano, quelle in grado di influenzare tutto il mercato, derivano come sempre da banche, fondi di investimento e altre grandi realtà finanziare.
Ma, qual è il motivo concreto che ha spinto queste istituzioni a vendere tutto?
Non è stato solo il timore dell’inflazione o dei rialzi dei tassi…
Come sappiamo, la Fed, inaugurando la sua nuova politica aggressiva per ridurre l’inflazione, ha deciso non solo di alzare i tassi d’interesse, ma anche di ridurre i titoli di stato nel proprio bilancio.
Ed è proprio quest’ultimo aspetto ad aver preoccupato le banche…
Infatti, finora (dal 2008 a oggi) la Fed ha sempre acquistato regolarmente buoni del tesoro statunitensi per sostenere i mercati e l’economia, e la liquidità pagata dalla Fed per questi acquisti è andata sempre a finire nelle banche, ingrossando le loro riserve che detengono presso la stessa Fed.
Oltre a questo, la Fed finora ha pagato alle banche anche gli interessi su queste riserve in eccesso (circa 100 miliardi l’anno).
Quindi, dal 2008 a oggi, cioè da quando è stato istituito questo meccanismo per scongiurare future crisi del tipo Lehman Brothers, le banche si sono abituate a considerare le proprie riserve come una comoda rendita passiva che frutta 100 miliardi l’anno senza far nulla.
Ora pero’, nell’ambito della sua nuova politica aggressiva la Fed, tra i tanti provvedimenti tesi a ridurre l’impatto di oltre un decennio di politiche accomodanti, ha pensato anche di mettere un freno a questo esborso continuo verso le banche.
L’ipotesi era di ridurre i pagamenti degli interessi sulle riserve e di convincere le banche a reinvestire le riserve in eccesso nei pronti contro termine che circolano nel mercato repo.
A tale scopo, la Fed aveva anche pensato di abbassare i tassi repo e di coinvolgere altre entità finanziarie, in modo da aumentare la liquidità e le occasioni di investimento in questo mercato.
Il progetto pero’ ha allarmato troppo, non solo le banche, ma anche gli altri enti finanziari coinvolti nel mercato repo, i quali hanno reagito come qualsiasi investitore quando si sente alle strette, ossia cercando di ottenere piu’ liquidità vendendo un po’ di tutto…
Ecco quindi il vero punto d’innesco del potente bear market che abbiamo visto fino a oggi…
Un bear market che per ora è solo stato “messo in pausa”…
Per il momento, il braccio di ferro tra la Fed e queste grandi entità finanziarie ha avuto una battuta d’arresto, grazie al fatto che gli ultimi dati economici sembrano suggerire che l’economia stia andando nella direzione che porterebbe la Fed a rallentare prima o poi il suo programma di allentamento della liquidità (e quindi anche la riduzione dei titoli di stato nel proprio bilancio e tutta la catena di conseguenze che abbiamo descritto).
Resta il fatto che un accordo tra la Fed e il sistema finanziario americano su questa ipotesi di riforma del mercato repo e delle riserve bancarie non è stato raggiunto.
Quindi finché non vi saranno segnali chiari che la Fed invertirà la sua politica aggressiva e abbandonerà qualsiasi piano di riduzione della liquidità, la maggior parte dei protagonisti della finanza americana non rimetteranno in gioco facilmente la loro liquidità nei mercati.
Questo fatto, per cosi’ dire, farà mancare gran parte del carburante necessario per un nuovo bull market…
Ecco perché, accanto alle considerazioni che abbiamo fatto negli articoli precedenti e sul nostro canale telegram su una ripresa del bull market, é necessario tenere presente che questo importante fattore indebolirà certamente la forza dei trend a rialzo che pure si iniziano a vedere in alcuni settori.